Antonia Calabrese è nata nell’Alta Valle del Sele nel 1958 ed è cresciuta in Toscana. Ha frequentato l’Istituto d’Arte alla sezione Moda e Costume teatrale e ha completato gli studi artistici presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, conseguendo la Laurea Magistrale un Storia dell’Arte.
Ha collaborato con diverse riviste come “Giornate italiane” e “Il Granel di Senape” di Torino.
Nel 2019 ha teorizzato e pubblicato il “Manifesto del Movimento Artistico Mutazionale” e nel 2020 ha pubblicato i primi 4 volumi della collana “PoeticaMente“.
Welcome è il suo romanzo d’esordio con la narrazione ambientata in un territorio afflitto dello spopolamento fra le città fantasma di Rieti e L’Aquila.
Dalma, la protagonista, nata esattamente settant’anni dopo il terremoto della Marsica, vive una curiosa storia ai confini della realtà fatta di singolari coincidenze che la porteranno a interrogarsi sulla vita e sulla morte, sulla possibilità che esista nei luoghi una moderna storica e in noi una genetica
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Antonia, la narrazione in “Welcome” non si riferisce a una storia realmente vissuta ma attinge a spunti autobiografici. È possibile rivelare ai lettori quali sono questi spunti?
Non ho piacere a farlo perché non si tratta né di una storia vera né tantomeno autobiografica e sarebbe un peccato se il lettore cercasse di ritrovarci me: perderebbe il senso della narrazione. Qualche spunto è normale che ci sia in quanto serve a rendere verosimile la narrazione e chi mi conosce o mi ha conosciuta potrebbe facilmente individuarli. Per tutti, basti che ho scelto di ambientare il racconto in territori che hanno subito lo spopolamento anche, ma non solo, a causa del terremoto della Marsica, quello del 1915, perché personalmente ho vissuto l’esperienza del sisma dell’Irpinia e l’orrore della distruzione e delle macerie. Alcuni episodi narrati se non sono avvenuti a me direttamente, sono occorsi a persone che conosco da vicino. Ad esempio, quello in cui il padre della protagonista muore sotto le rovine della sua casa nel corso del sisma del 2009 è successo a un’amica, in realtà, durante il sisma del 1980.
Parla di memoria genetica e sappiamo quanto sia fondamentale il mantenimento di questa memoria, ereditata dalla generazione precedente, per vivere e riprodursi. Questo avviene attraverso il mantenimento del rapporto con i nostri nonni, le persone più anziane ma, il periodo che stiamo vivendo, sta intaccando tutto questo a discapito delle generazioni future.
Sì, certo, esiste e fa parte della nostra vita questo genere di continuità con il passato che ci proviene dalle generazioni che ci hanno preceduto. Quando le famiglie erano patriarcali e i bambini crescevano sotto lo stesso tetto con i nonni, le memorie dei propri antenati venivano acquisite con semplicità, in modo del tutto naturale. La storia di ciascuna famiglia, le sue esperienze, le conoscenze acquisite erano trasmesse di padre in figlio e apprese assieme al linguaggio col latte materno stesso, se vogliamo. La società moderna ci ha tolto questo vantaggio e tanto più i tempi di distanziamento e isolamento sociale che stiamo vivendo ci stanno depauperando di grandi ricchezze umane, affettive ed emotive sulle quali il genere umano poggia le fondamenta. Ritrovare sé stessi a mezzo della ricerca delle proprie radici per alcuni di noi, a maggior ragione è diventata una filosofia di vita. In “Welcome” tuttavia, non è di questo genere di memoria che ho scritto ma della possibilità che esista una memoria atavica, incisa nel nostro DNA, che faccia parte del nostro stesso genoma, di tutte le vite che ci hanno preceduto di generazione in generazione. È una delle ipotesi, un’altra è la reincarnazione: la protagonista si trova a vivere delle esperienze che potrebbero essere spiegate con una o ambedue a scelta del lettore.
Lei si occupa di letteratura,poesia, pittura, scultura, digital painting ed e-mail art. Ha abbracciato completamente il mondo dell’arte, della cultura, come i suoi studi dimostrano.
Certo, datemi da fare cose che moltissime donne sanno fare bene, tipo un dolce, una ricetta particolare o un altro lavoro più classicamente femminile fra virgolette e sono una vera incapace, una frana. Sono del tutto maldestra nelle faccende di casa, per mia natura, da sempre. Sono così fin da ragazza, portata per altro tipo di manualità e di creatività. Ciò nonostante, amo tutto quello che faccio e non saprei proprio dire cosa prediligo solo che, sì, ho molte passioni, un po’ anche perché vado a periodi: a volte sono più ispirata in un’attività creativa e altre volte in un’altra. Svariati interessi e purtroppo poco tempo, come tutti noi d’altronde e non lascio mai nulla di incompleto: se non arrivo al punto in cui posso dire a me stessa: – Mi piace! – non riesco a considerare ultimato quello che sto facendo; temo che questo possa essere uno dei miei difetti, forse il peggiore, per cui mi aspetto dagli altri come da me stessa di “fare ad arte” tutto quello che faccio. Mi capita sempre più spesso di provare la detestabile sensazione che non riuscirò a fare tutto quello che mi piacerebbe, che lascerò qualcosa di inconcluso, alla fine.
Ilaria Matà
che esista una memoria atavica, incisa nel nostro DNA… é una consapevolezza che premia chi guarda la vita con un’anima da poeta, da artista. Lo scopri in segreto, guardando i tuoi figli e, se sei fortunato, i tuoi nipoti, che non hanno conosciuto i tuoi nonni. Mi è capitato di conoscere cose dei miei antenati, dopo che le avevo vissute io stesso; quelle cose che incontri quando cerchi di dare un senso alla vita.
G.R.
Ciao Giovanni, che bel commento.
“Guardare la vita con un’anima da poeta”
Da quello che leggo sembra che lei cerchi di guardare la vita proprio così ☺