Marina di Carlos Ruiz Zafón 

Marina

Barcellona, fine anni Settanta. Óscar Drai è un giovane studente che trascorre gli anni della sua adolescenza in un cupo collegio della città catalana.

Colmo di quella dolorosa energia così tipica dell’età, fatta in parti uguali di sogno e insofferenza, Óscar ama allontanarsi non visto dalle soffocanti mura del convitto, per perdersi nel dedalo di vie, ville e palazzi di quartieri che trasudano a ogni angolo storia e mistero.

In occasione di una di queste fughe il giovane si lascia rapire da una musica che lo porta fino alle finestre di una casa. All’interno, un antico grammofono suona un’ammaliante canzone per voce e pianoforte.

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Ti sbagli. Qui ci sono i ricordi di centinaia di persone, le loro vite, i sentimenti, le illusioni, la loro essenza, i sogni che non sono mai riusciti a realizzare, le delusioni, i tradimenti e gli amori non corrisposti che hanno avvelenato le loro esistenze…

Qui c’è tutto questo, prigioniero per l’eternità

In una Barcellona buia, tetra e sporca si snoda la vicenda del giovane Óscar, collegiale con l’animo in tormento, tipico nella fase adolescenziale, con l’abitudine di allontanarsi per scoprire i misteri dei vari quartieri. Ad attirare la sua attenzione una villa dalla facciata cupa in cui vivono Marina e suo padre Germàn Blau, ex pittore famoso. Sarà l’incontro più importante della sua vita.

E sarà proprio Marina a coinvolgerlo in una storia fitta di mistero, con personaggi che si muovono nel buio come Michail Kolvenik, Eva Irinova, Sergej e Tatiana Glazunow, Joan e Maria Shelley (chiaro riferimento a Mary Shelley, autrice di Frankenstein, il primo romanzo gotico di fantascienza).

Marina, scritto anni prima del libro L’ombra del vento – che apre la tetralogia “Il cimitero dei libri dimenticati” – affronta temi come la solitudine, l’amicizia e la morte, il tutto avvolto in un alone di mistero ma carente di spessore e fervore. Viene naturale fare un confronto con le altre opere di Zafón e in Marina si riscontra una scrittura fluida ma acerba che non riesce a convincere completamente.

Assistiamo a metà romanzo ad un punto di rottura in cui l’iniziale coinvolgimento va a scemare a causa di elementi surreali come la scena in cui Óscar, calatosi in una fogna, incontra creature mostruose:

Sentii che mi mancava l’aria. Era impossibile accettare lo spettacolo che si offriva ai nostri occhi. Imprigionati nelle tenebre, decine di corpi inerti e incompleti pendevano da ganci arrugginiti. Su due grandi tavoli giacevano, nel caos più totale, strani attrezzi: congegni di metallo, ingranaggi e meccanismi di legno e acciaio. Una collezione di contenitori era allineata in una teca di vetro. Più in là vidi un set di siringhe ipodermiche e una parete tappezzata di strumenti chirurgici sporchi e anneriti.

In Marina, i luoghi quali il cimitero, la villa abbandonata, il Tibidabo ed elementi chiave come il passato, il mistero e la storia contorta fanno da apripista a quelle caratteristiche che si riscontreranno in futuro negli altri libri di Zafón.

Un libro scorrevole, che è possibile leggere in pochi giorni adatto di più ad un pubblico adolescenziale.