Luca Murano è nato nel 1980 a Sant’Angelo Lodigiano (LO). Dal 2009 vive in Toscana, dove si occupa di logistica. Oltre a curare Vai Come Sai, il suo blog di scrittura, negli anni ha pubblicato diversi racconti su riviste letterarie indipendenti. Nel 2018 ha esordito nel mondo dell’editoria con Pasta fatta in casa. Sfoglie di racconti tirate a mano.
Recentemente ha pubblicato con Edizioni Dialoghi “I vestiti che non metti più“.
Chi siamo quando nessuno ci osserva? Possiamo davvero sentirci al sicuro? È realmente plausibile, in tali circostanze, riuscire a indossare e sfoggiare la parte più limpida di noi stessi? I protagonisti dei racconti che compongono la presente silloge prendono vita tra le pagine col desiderio di rispondere a queste domande, compiendo azioni apparentemente insignificanti e che invece restituiscono alle storie autenticità e tutta la grazia che può nascondersi dietro le banalità, le paure, le sofferenze e le speranze di cui sono intrinseche le loro esistenze. Una raccolta di outfit dimenticabili, ma di reazioni e gesti indimenticabili perché radicati in profondità in ognuno di noi. Uomini e donne sull’orlo della perdizione, studenti squattrinati, scrittori precari, giocatori d’azzardo, genitori sciagurati e figli egoisti che, con ironia e disincanto, scavano a fondo nella loro interiorità solo per scoprirsi vulnerabili, fallibili e, proprio per questo, umani.
D. Luca, grazie innanzitutto per la disponibilità a fare questa intervista. Parlaci di te, chi è Luca Murano?
R. Ma grazie a voi! Vi basti sapere che Luca è uno scrittore precario ma appassionato. Ha scritto un’infinità di racconti e molti di questi sono stati inseriti in varie riviste letterarie, tra cui: ‘tina, Risme, Spazinclusi e Bomarscé. Come se non bastasse, queste storie sono finite in due antologie, “Pasta fatta in casa – sfoglie di racconti tirate a mano” (Bookabook) e “I vestiti che non metti più” edita da Dialoghi e fresca fresca di stampa. Ma ora basta parlare di me in terza persona che non son mica Zlatan Ibrahimovic!
D. Quando è scattata la scintilla verso il mondo della scrittura?
R. Da piccolo divoravo fumetti. Avrei dato qualsiasi cosa per avere il talento del fumettista ma col disegno, mannaggia, ero (e sono tutt’ora) proprio negato. Compensavo con l’immaginazione però. Fantasticavo tutto il tempo, inventando, nella mia testa, trame strampalate e intrecci alquanto rivedibili. Forse in quel momento lì è scattato qualcosa. Soltanto più avanti carta e penna son diventati propaggini del mio subconscio ma mi piace pensare a quella fase della mia vita come il vero punto di svolta.
D. I vestiti che non metti più vuole essere un riferimento alle maschere, ai vestiti che fungono da costume che si indossano ogni giorno nel rapportarsi con la società?
R. In realtà no. I vestiti che non mettiamo più, di cui si parla metaforicamente in questo libro, sono quelli in cui un tempo stavamo tanto comodi e dai quali non ci stancavamo e staccavamo mai. Purtroppo, però, sono anche quelli che oggi non possiamo più sfoggiare, per mutate circostanze: convenzioni sociali, doveri professionali, familiari e, in alcuni casi, trasformazioni fisiche. Nonostante questo, vivono sempre nei nostri armadi. Sono quei vestiti che non abbiamo mai avuto il coraggio di buttare, proprio perché parlano ad una versione di noi meno attuale ma pur sempre ‘vera’.
D. Uomini e donne celano ansie, preoccupazioni, il reale stato emotivo per paura che questi possano essere percepiti come vulnerabilità. Ma non è nell’apertura totale, nel mostrarsi disinibiti davanti alle emozioni, anche negative, che si acquista forza?
R. Questa è un’ottima chiave di lettura. Ma, a parer mio, parziale. Ad esempio, ritengo che ‘aprirsi’ alle emozioni (belle o brutte) possa anche essere devastante per una persona ed esporne tutte le debolezze. Di una cosa però possiamo essere sicuri quando viviamo a pieno le nostre emozioni: abbandonandoci ad esse, infatti, finiamo nel bene o nel male per mostrare la parte più autentica di noi. Questo è quello che ho tentato di fare raccontando i personaggi di queste storie: restituire, attraverso le loro peripezie, autenticità al lettore.
D. Nel tuo libro parli di uomini e donne sull’orlo della perdizione, di studenti squattrinati, scrittori precari, giocatori d’azzardo, genitori sciagurati e figli egoisti. Con quante di queste realtà ti sei confrontato direttamente?
R. Premetto che per rispondere a questa domanda faccio mie alcune brillanti considerazioni che ho ritrovato nel romanzo l’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. I personaggi dei miei racconti sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Ciascuno di essi ha superato un confine, bello o brutto, che io ho solo aggirato. Al di là di questo confine comincia il potere della verità al quale i racconti si ispirano e tendono.
D. Luca Murano è riuscito a sfoggiare la parte più intima di se stesso?
R. Confesso di essere un po’ refrattario al lasciarmi andare col prossimo. L’autocontrollo come nuova forma di meditazione, con buona pace della mia compagna. Forse è proprio per questo che la scrittura è così importante per me: scrivere significa mettersi a nudo, farsi vedere per ciò che siamo, anche senza indosso quei vestiti che non mettiamo più. E questo, in fondo, non è forse il coraggio più grande?