Keyras di Isa J. Vinci

In quanti film la protagonista, durante l’esplorazione dell’antica casa nella quale si è appena trasferita, puntualmente scopre in soffitta una scatola misteriosa che non si sa né a chi sia appartenuta né cosa contenga? Incapace di resistere alla curiosità, si fa coraggio, la apre e…

Ecco, “Keyras” è come la scatola trovata in soffitta. Al suo interno, una raccolta di 90 tra racconti, sogni, incubi, fotografie, ricordi dei quali il re è lui, l’amore, il primo e più antico dio della cosmogonia di Esiodo. Ora in tono leggero e ironico ora drammatico e intimista, dall’horror al racconto storico alla favola all’erotico, l’amore esce dalla scatola delle Keyras per narrarsi a immagine e somiglianza dell’autrice che continua così, a modo suo, un discorso iniziato quando l’uomo imparò a scrivere, 4000 anni fa e che non avrà fine finché ci sarà anche un solo essere umano sulla faccia della terra.

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Il libro di Isa J. Vinci è un insieme di sensazioni.

La descrizione dell’atto sessuale, le decisioni drastiche, la violenza per ottenere la libertà di poter fare sono propulsori di tanti pensieri.

I racconti, 90 per la precisione, parlano di quello che molti tentano di descrivere, l’amore, e Isa J. Vinci dice la sua riguardo le questioni amorose e lo fa con delicatezza, arroganza, dolcezza, violenza, durezza e anche armonia con quello che sente.

Isa J. Vinci attraverso i suoi racconti vuole dare voce ai tanti che non si sentono capiti, che affrontano nel quotidiano discriminazioni come l’omofobia, di quanti percepiscono il proprio corpo come una gabbia e delle persone costrette a vivere l’amore di nascosto.

La Spiaggia

A quest’ora sulla spiaggia non c’è mai nessuno.
È quando non c’è nessuno che mi sento meno sola.
Cammino scalza a fil di onde, gioco a sfuggirgli, mi faccio rincorrere. Poi restituisco una conchiglia al mare, raccolgo vetro levigato bianco e verde che mi tintinna in mano come le biglie della mia infanzia, osservo qualche sasso dimenticato a riva dalla marea e gioco con il legno dalle forme bizzarre reso liscio dai flutti. Questo a cosa somiglia? Un drago o una chimera? Il serpente dell’Eden o l’aspide che fu complice fatale di Cleopatra? Legno nudo, legno che ha attraversato nazioni di pesci e molluschi e piante acquatiche e, chissà forse, no, ne sono certa, avrà incontrato le sirene. Inventa, mi dico, avanti, inventa, estrai la vita da questo oggetto morto.
Quel giorno era il primo di un lungo autunno. Alle nostre latitudini l’inverno arriva tardi, già stanco di ghiacciare, nevicare, infuriare e piovere e non ha la forza di imporsi se non per pochi giorni.
Un maglione che mi stava un po’ troppo largo, come del resto tutto in quel periodo, i pantaloni arrotolati al polpaccio, le scarpe da tennis in mano e il mio onnipresente foulard al collo, presi a camminare lungo la battigia. E fu allora che le vidi in lontananza.
Il vento mi portava le loro voci, ma non le parole. Vedevo dal modo in cui piegavano la testa, ora indietro ora in avanti, che stavano ridendo.
Le persone che si amano camminano in un modo tutto loro; non c’è bisogno che si prendano per mano per capire, anche a distanza, cosa le lega, si vede dal modo in cui stanno affiancate, le loro braccia e le spalle e la testa tendono l’una a quella dell’altra, come se fosse una tortura il distacco, contro natura la lontananza dei corpi, invincibile l’attrazione l’una per l’altra e ineluttabile la vittoria su quell’abisso di pochi centimetri che fa la differenza tra amicizia e amore. Una aveva un caschetto di capelli bianchissimi che il vento scompigliava in continuazione e l’altra, i capelli scuri striati di grigio, non si arrendeva e continuava a metterle una ciocca dietro l’orecchio per poi scuotere la testa quando sfuggiva di nuovo. Avevano il passo lento e rilassato di chi va dove più gli piace e, non avendo una meta, ovunque è la meta. Una all’improvviso si fermò e si piegò per massaggiarsi un ginocchio. L’altra si chinò verso di lei. Non ci voleva molto per capire che era preoccupata, lo diceva la mano che aveva posato sulla spalla della compagna, la testa leggermente inclinata per riuscire a guardarla negli occhi. L’età, pensai, gli inevitabili acciacchi dell’età. Chissà quanto è bello invecchiare con chi ami, mi chiesi. La donna dal caschetto si rialzò e accarezzò la guancia dell’altra come a dire: “va tutto bene”. Ripresero a camminare, l’una la mano attorno ai fianchi dell’altra.
Rimasi a guardarle ancora un po’, poi mi volsi per ritornare a casa.
Ti sentii prendermi la mano e sorrisi nel vento.
È quando non c’è nessuno che mi sento meno sola perché quello è il momento in cui, immancabilmente, mi prendi la mano e dici: “Va tutto bene”.

Note sull’autrice

Pisana di nascita, cittadina del mondo per scelta, dopo il liceo ha gironzolato un po’ per l’Europa vivendo e continuando a studiare a Londra, Parigi e in Germania.

Rientrata in Italia, ha fatto di tutto: dalla donna in carriera alla dama di compagnia.


Keyras