
È possibile inseguire il proprio sogno senza perdere la parte più autentica di sé stessi? Sfuggire a un destino già scritto senza che questo finisca per bruciarci? Francesco cresce nella periferia di Milano, figlio di meridionali e con il sogno di scrivere: un ragazzo ai margini di un paese ai margini. O almeno questa è la sua sensazione per dieci mesi l’anno, finché non arriva l’estate e lui torna con i genitori in Basilicata, dove la vita sembra più autentica. Lì le costrizioni della città si trasformano in libertà: ci sono i nonni – nonna Luisa, la rimediante del paese –, i campi, e soprattutto c’è Luciano, il cugino con cui mungere vacche, pascolare pecore, lavorare la terra e sfrecciare sulla Vespa rossa truccata. È con lui che Francesco impara a fumare, a guidare la macchina, ad ascoltare il proprio corpo. Eppure Luciano considera sbagliato emigrare, come ha fatto il padre di Francesco: per lui contano solo la fedeltà alle origini e la solitudine della campagna.
La scrittura del romanzo invece assomigliava a una scalata: c’era la fatica ma anche il piacere, mi mettevo a scrivere e respiravo.
Un viaggio lungo anni, lungo tutta la vita, tra l’evasione che avviene nei sogni e lo scontro con la realtà che appare, o forse lo è sempre stata, cementificata.
Tra Nord e Sud, con quel senso di appartenenza ricercato e mai veramente assaporato. Tra luoghi in cui si cresce ma si vuole scappare e luoghi che richiamano ma da cui si va via perché la vita è altrove.
Un viaggio alla ricerca del proprio posto da chiamare casa percorrendo le fasi del conflitto e della dualità che ogni individuo, costretto ad emigrare, sperimenta. Da una lato le radici, dall’altra parte il prolungamento dei rami, senza la presa di coscienza che fanno entrambi parte dello stesso albero.
Francesco cresce con alcune mancanze, con il rifiuto e la rabbia nei confronti di un padre che pensa abbia rinunciato a combattere e si sia piegato alle leggi della realtà. Gli appartiene l’arroganza tipica delle nuove generazioni, crede di sapere tutto. Arroganza figlia della rabbia provocata dal silenzio, che invece appartiene ai genitori, che eseguono senza spiegare, senza raccontare cosa ha portato a prendere determinate scelte. I genitori, così facendo, credono di sollevare i figli dal portare fardelli, senza mai riflettere su ciò che verrà dopo, sulle conseguenze che ogni cambiamento comporta.
Francesco, così come il padre e il resto della famiglia, esegue prima di tutto un comandamento non scritto: non si parla di quello che si vede, si sente, si crede di sapere. Parlare il meno possibile di una questione importante permette alle persone di illudersi che quel fatto non sia mai successo. E così si va avanti, nascondendo sogni, progetti, amarezze.
Assapora e vive intensamente il periodo estivo in compagnia di Luciano, cugino che guarda con un misto di ammirazione e invidia.
Guardai la schiena larga di Luciano, illuminata da un fascio di sole che filtrava tra le querce, la nuca di capelli biondi, e non so per quale strano meccanismo della mente mi sembrò di stare con papà, avrei potuto chiamarlo così; in quel momento credetti di essere a un passo dal rubare a mi cugino qualcosa che da mio padre non potevo avere, che tutto fosse a portata di mano. Non era la prima volta, per la verità, avevo già immaginato che Luciano fosse papà da giovane, di poterlo conoscere al di là di com’era a Milano. Forse era per la somiglianza, Luciano sembrava figlio di papà più che di zio Bartolo, o per il fatto che parlava poco mio cugino, se non tra le bestie e nei boschi, e parlava poco papà, se non per lavoro, pure lui, in mezzo alle sue Ford. O forse perché dei tratturi, dei campi, dei boschi, delle vacche, delle capre e del grano non c’era niente da raccontare, solo qualcosa da farci; o semplicemente perché zio e nipote erano più simili d’indole di quanto non lo fossimo io e mio padre. Ma poi, mentre lo seguivo, mi sembrò inarrivabile lui – era di un pianeta più pure, più perfetto -,come inarrivabile era papà.
Ma a questo ragazzo così sensibile appartiene la forza di credere nei propri sogni e la voglia di osare, sbagliare, lottare, per non aggiungersi alla lista degli amareggiati costretti a rinchiudere ciò che amano in una scatola da nascondere sotto il letto o in un armadio abbandonato.
Giuseppe Catozzella nellibro “Il fiore delle illusioni” presenta una narrazione stratificata, in cui sotto strati di terra e silenzi, c’è la dignità degli uomini e delle donne che si rimboccano le mani per un futuro migliore, ci sono il dolore e il peso che sporca la coscienza di chi cerca di aiutare gli altri ad alleggerire la propria, ci sono i sogni resi muti per costruire basi solide per altri sogni. C’è il riconoscimento dei tanti sacrifici che piegano le spalle. Una scrittura che svela e si svela acquistando spessore insieme al crescere della storia.
Note sull’autore

Giuseppe Catozzella ha pubblicato il libro in versi La scimmia scrive e i romanzi Espianti (Transeuropa, 2008), Alveare (Rizzoli, 2011; Feltrinelli, 2014), da cui sono stati tratti molti spettacoli teatrali e a cui è liberamente ispirato il film L’assalto, Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2014; vincitore del premio Strega Giovani 2014; finalista al premio Strega 2014 e all’IMPAC Dublin Literary Award; vincitore del premio Carlo Levi 2015), tradotto in tutto il mondo e da cui è stato tratto il film omonimo, uno spettacolo teatrale-musicale con le musiche di Peter Gabriel e una suite per orchestra diretta dal Maestro Riccardo Muti, Il grande futuro (Feltrinelli, 2016; vincitore del premio Giordano Bruno), E tu splendi (Feltrinelli, 2018; vincitore del premio De Lorenzo e del premio Albatros Città di Palestrina) e, per Mondadori, Italiana (2021; vincitore del Prix Littératures Européennes 2023 e del Premio internazionale Alessandro Manzoni; miglior romanzo italiano del 2021 per i lettori di “Robinson-la Repubblica”; finalista al Prix Le Parisien 2023), che diventerà presto una serie tv. In seguito alla pubblicazione di Non dirmi che hai paura, Giuseppe Catozzella è stato nominato dall’Onu Goodwill Ambassador Unhcr.