Davide Rocco Colacrai è nato e cresciuto a Zurigo. Arrivato in Italia ha conseguito la laurea a pieni voti in Giurisprudenza presso l’Università di Firenze e, di seguito, la specializzazione post lauream in studi giuridici e il Master di II Livello in Psichiatria forense e Criminologia.
Vincitore di diversi premi nel corso della sua carriera letteraria, nel 2020 è stato premiato con il 1° posto assoluto alla II Edizione del Premio Letterario Mondiale “Golden Aster Book” organizzato dalla Aster Academy e con il 1° posto assoluto alla VIII Edizione del Premio Nazionale “Poesia & Vino – Città di Tollo”.
Ha all’attivo ben 8 libri, l’ultimo dal titolo Asintoti e altre storie in grammi – di cui sto per parlarvi – pubblicato con la casa editrice Le Mezzelane.
Link Amazon
Una raccolta di vite, credi, frammenti di esistenze attanagliate dai dubbi, dalle domande, dal dolore per le violenze e le discriminazioni subìte.
Come in Il quarantasettesimo scalino (dedicata a Machu)
Credo in un solo Dio,
non credo nelle tradizioni confinate in un nome,
credo nell’anima e nelle sue verità,
non credo al corpo,
credo nel mio destino, di essere una hijra,
e nelle sue distrazioni,
credo all’amore,
o forse non ci credo più.
Sono figlia di Kamathipura
e, prima di entrare nella sua terra,
sono morta due volte,
la prima quando mi ha inclinato il ripudio della radice
e inciso il mio essere orfana addosso,
la seconda dopo aver superato quel punto, di richiamo della vita attraverso il dolore,
a completare la mia natura,
ed entrambe nell’approdo, comunque molto labile, ad un senso primordiale, quasi di plenilunio,
che da sempre mi attanagliava
senza mai assopirsi.
La gente mi chiedeva cosa fossi, e non chi, e me lo chiedevo anch’io.
Ogni anno che andava a caricare una generazione
fino a spezzarla,
e scardinava i loro sogni e i miei,
affievoliva il mio dubbio, e con esso il bisogno di chiedere perdono, e il tormento del ripudio,
capivo che sarebbe potuto essere diverso,
che se solo mio padre avesse, e mia madre non avesse,
e soprattutto io non fossi,
e capivo anche che si può morire, una o più volte, e non lasciarsi andare, e dimenticare,
ricordare com’erano le cose più piccole, insignificanti,
magari l’odore di una carezza ancora pugno, la sponda di una rupia, o il vizio del paan,
per non essere risucchiati da quel nulla
Le azioni che hanno colpito semplici uomini e donne, intenti a compiere il proprio lavoro, tanto tragiche da mutare il futuro di intere famiglie, di un Paese, e lasciare un buco nero di odio e terrore nella storia.
L’ultimo colore delle cose (11/09/2001) parla dell’11 settembre
Come baci fioriremo dietro l’infinito,tra il vento e le parole,
dove la bellezza non ha fretta.
Era un martedì di settembre, ovvero lentamente e impercettibilmente fu.
In Asintoti e altre storie in grammi, la presenza di versi di altri poeti, come W. S. Merwin e Karen Fiser dà ancora più spessore ad un lavoro notevole ma, anche l’inclusione di testi di canzoni recenti come
Ci vuole soltanto una vita
per essere un attimo
di Loredana Bertè
denota un richiamo al cambiamento anche nel modo di esprimersi, provare sentimenti e cercare di esternarli.